martedì 28 febbraio 2012

Gabriella

Qualche giorno fa Gabriella Mercadini se ne è andata. Mesi addietro avevo visto le sue foto ancora orgogliosamente in mostra alla Casa Internazionale delle Donne. Conoscevo il lavoro di Gabriella. Mario me la fece incontrare qualche tempo fa a Venezia. E non ebbi il coraggio di dirle che ero felice di incontrarla. Ci sono persone che avverti di aver sempre conosciuto. Il tempo di uno spritz, di un giro bello per Venezia. In realtà, non c'è stato tempo. 


Non so, Mario Boccia, uno dei migliori fotoreporter italiani, dopo l'addio di Gabriella, mi ha mandato le parole che potete leggere qua sotto. Erano pensate per un libro attorno alle foto di Gabriella. Un libro che spero troverà la maniera di essere pubblicato. Ho chiesto a Mario se potevo metterle in questo piccolo spazio. Perchè, con Mario, penso che queste siano 'storie nostre' e che il ricordo sia 'importante'.



Gabriella a Venezia (foto di Mario Boccia)


Cara Gabriella, una lettera di Mario


Cara Gabriella, vorrei dirti una cosa: è stata anche colpa tua se ho scelto di fare il tuo stesso lavoro. Non te l'avevo mai detto, perché è successo molto prima di conoscerti e per spiegarlo avrei sottolineato una differenza d'età, che abbiamo sempre ignorato.

Ero uno studente adolescente e ritagliavo le foto che mi piacevano dai giornali per metterle in una scatola. Il 1968 era appena finito e quelle non potevano essere foto annoiate e banali. Potevano perfino non essere “belle” ma dovevano essere erano piene di contenuto e informazioni. Nella scatola non c’era “fine-art”, ma foto di attualità, di uomini e donne in lotta, in ogni parte del mondo. Oppure foto storiche (oggi diremmo "immagini iconiche", perché il linguaggio cambia come le stagioni) della guerra del Vietnam o della lotta partigiana. C’erano la bandiera rossa sul Reichstag a Berlino e il miliziano spagnolo di Capa. La musica era Jimi Hendrix a Woodstock. Lo sport aveva il pugno alzato e guantato di nero di Smith e Carlos sul podio a Città del Messico. Tanto mondo e tanta Italia, ma sempre come parte di un movimento che sentivamo come la nostra casa.

Tra quelle foto nella scatola c'erano anche le tue. I fotografi uomini erano di più, ma allora non ci facevo caso, solo dopo ho capito che il fatto che ci fossero fotografe donne affinava la qualità di quella collezione di ritagli. Poi la vostra rivincita, tu e Luisa Di Gaetano ve la siete presa riempiendo la Casa Internazionale delle Donne di foto del movimento femminista, tanto belle perché il vostro sguardo era dentro e parte quel movimento. Sono lì da anni, in mostra permanente, ma rimarranno nella memoria di tante persone anche al di là della mostra stessa.

Ma non hai fotografato “solo” quello. Sei stata in Afghanistan, in Iran, in tanto altro mondo, hai fotografato studenti e operai, uomini e donne in Italia (in qualche scatto potrei esserci anch’io, con barba e capelli, tra i tanti).


Una foto di Gabriella (da utilerezapagain.blogspot.com)


Mi viene in mente la frase di una canzone dei primi anni ’70: “vorrei incontrarti davanti a una fabbrica... lungo le strade che portano in India…”. Tu potevi essere li, perché erano i tuoi luoghi abituali. Hai fatto con semplicità quello che tanti sognavano. Hai viaggiato e sei tornata. Sempre in piazza, perché i viaggi non erano fughe e tu non ti sei mai persa (come l’autore di quella canzone).

Guardando le tue foto (e quelle di altri che non ti dico, perché tanto sai di chi parlo), ho iniziato ad avere voglia di fare come voi. Intuivo le storie delle persone da un’espressione o un gesto, ancora prima di leggere il testo. Quelli non erano scatti a tirar via. E' questo che fa la differenza. Fotografare può essere uno scambio, un rapporto umano che implica complicità, fiducia e rispetto. Lo ripeto: rispetto. Non sempre è così, ma quando c'è si vede.

E che c'entrava il "lavoro" con questo? Potevo mettere insieme il mio gioco preferito di bambino (con una macchina a fuoco fisso e una levetta che mi dava due possibilità: sole e nuvole), con la voglia di viaggiare e cambiare il mondo? Potevo vivere facendo quello che mi piaceva o sarebbe stato più saggio fotografare nel tempo libero?

Intanto tu seguitavi a fotografare, viaggiare e protestare e ti vedevo in opera, assieme ad altri autori delle foto nella mia scatola. Vi incontravo perché frequentavamo gli stessi posti e le vostre foto (ma ora penso solo alle tue) seguitavano a lasciare tracce nella memoria di tante persone. Non sembravate ricchi ma avevate l'aria di divertirvi e tu eri bella quasi come oggi. Così, ho deciso.


Gabriella e Mario


Troppi anni dopo, finalmente, ti ho conosciuto nella stanza dei grafici al manifesto, dove si andavano a portare le stampe da vendere per il giornale. Credo che quella stanza sia stata un rifugio culturale importante per i fotografi che lavoravano a Roma. Si poteva parlare di tutto, perfino mostrarsi reciprocamente le foto senza diffidenza e andarsene al bar, dopo. Tu sai che, fuori dal mito, il nostro è un lavoro difficile. E’ raro incontrare degli amici veri che non tradiscono per vendere una foto in più o che ti aiutano senza aspettare che tu lo chieda. Abbiamo imparato che l’ideologia non protegge dalle scorrettezze, anzi, a volte le maschera. “Troppi schiacciasassi in giro”, che “passerebbero sopra la propria madre”. Ricordi a chi pensavi quando me l’hai detto? Spero di no, perché non ne vale la pena.

Incontrare te, invece, è stato e sarà sempre un piacere. Ricordi quando siamo venuti in tanti fino a Parigi per una tua mostra? E la cena con Mario Dondero nel bistrot, con quella specie di trippa, che sarà pure stata una “specialità popolare” ma aveva un pessimo odore? Questo non lo possiamo dimenticare.

Non so se ora esagero, ma credo che siamo riusciti a vivere senza lavorare. Se non abbiamo mai sentito il bisogno di fare una vacanza, al ritorno di un viaggio di lavoro, significa che abbiamo mantenuto unito il nostro tempo. Il prodotto del nostro lavoro ci appartiene, nel senso che ci rappresenta (almeno un poco), anche quando lo cediamo ad altri. Ed è più forte di noi, perché mantiene nel tempo l’energia e la capacità di comunicare che è nelle nostre intenzioni mentre lo realizziamo.

Ma non voglio buttarla in filosofia da spritz. Questa lettera che assomiglia a una foto mossa della nostra vita è un pretesto per arrivare a una didascalia semplice: Cara Gabriella, ti ringrazio per avermi dato (senza saperlo) l'idea di provare a vivere di fotografia.


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